Ddl Zan e la tutela penale dell’abilismo


La tutela penale dell'abilismo
L’approvazione alla Camera dei Deputati del Disegno di Legge.

[ULTIMA ORA] Il Ddl Zan, la legge che punisce l’omofobia ed offre una tutela per i reati d’odio nei confronti delle persone con disabilità, è stata rinviata a settembre.


Il Ddl Zan è il disegno di legge sull’Omofobia che offre la tutela penale dell’abilismo.

La nuova legge sull’Omotransfobia approvata alla Camera è ora al vaglio del Senato per l’approvazione definitiva.

Il disegno di legge ha assunto rilevanza in quanto nell’ambito della disabilità punisce chi pratica l’Abilismo.

Ausili per persone con disabilità 

Con tale locuzione s’intendono tutte quelle condotte che vedono le persone con disabilità essere discriminate in virtù della loro condizione.

In seguito all’approvazione alla camera abbiamo assistito a proclami bipartisan in merito all’approvazione in prima battuta della legge.

Al di là dell’opportunità politica, a noi preme sottolineare l’aspetto dell’efficacia e l’utilità della legge sotto il profilo penale.

Come sappiamo le persone con disabilità sono vittime spesso di condotte discriminatorie che incitano all’odio, alla violenza ecc. ed è doveroso domandarsi se è davvero così indispensabile introdurre una legge di questo tipo che tuteli in maniera specifica le persone con disabilità vittime di condotte discriminatorie.

Procediamo per gradi e vediamo innanzitutto che cosa prevede la legge.

Il Ddl Zan introduce nell’ambito dell’art. 604 bis del codice penale nuove tipologie di fattispecie penali che puniscono proprio le condotte discriminatorie fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità.



La fattispecie che punisce la ” propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale e religiosa” viene dunque ampliata con le nuove fattispecie di cui sopra.

Al I° comma lettera a) viene pertanto punita la propaganda o l’istigazione fondata anche sulla disabilità.

Al I° comma lett. b) l’istigazione a commettere o la commissione di atti di violenza o di provocazione alla violenza per motivi legati alla disabilità.

Ulteriori modifiche vengono apportate all’art. 604 ter che estende l’aggravamento della pena in esso prevista, per qualunque reato, punibile con pena diversa dall’ergastolo, commesso per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità.

Anzitutto c’è da dire che esistono già delle sentenze che hanno punito gli autori di condotte diffamatorie e discriminatorie con insulti ed offese rivolte alle condizioni della persona, prevendo anche il risarcimento danni nei confronti delle associazioni di tutela delle persone con disabilità che hanno deciso di costituirsi parte civile.

Si deve però anche riconoscere che non sempre l’autorità giudiziaria ha avuto la stessa sensibilità, in alcune occasioni non si è arrivati ad una sentenza di condanna.

Dunque l’introduzione di una fattispecie ad hoc, parrebbe di prim’acchito colmare questa lacuna, in realtà le pronunce in cui non si arriva ad una condanna penale per gli autori di ingiurie ed offese nei casi in cui vittima sia una persona con disabilità, sono molto limitate (si contano sulle dita di una mano). 

D’altronde, un caso di scuola che viene insegnato a chi si cimenta nello studio del diritto penale, è che non si può chiamare prostituta, nemmeno chi la prostituta la fa di mestiere. Ugualmente è condannabile colui che definisce una persona con disabilità, “handicappato”, utilizzando il termine in tono dispregiativo.

Questo per quanto riguarda le ingiurie, discorso diverso per la commissione di atti di violenza o di istigazione alla violenza.

Le condotte discriminatorie infatti possono sfociare in atti di violenza nei confronti delle persone più fragili; tuttavia riesce difficile immaginare che vi siano persone che istighino altri soggetti a commettere violenza nei confronti di persone con disabilità.

Qualora si verifichino, questa tipologia di condotte solitamente viene annoverata nell’ambito del bullismo per il quale è possibile agire in giudizio, in quanto, pur non essendovi una fattispecie ad hoc, gli atti che lo caratterizzano rientrano nell’ambito di fattispecie esistenti: percosse, minaccia, violenza privata.

In ogni caso, nel nostro sistema, inoltre, è già previsto l’art. 36 della legge 5 febbraio 1992 che aggrava la pena prevista per taluni reati commessi ai danni di una persona con disabilità.

Ad una circostanza aggravante, vanno quindi ad aggiungersi una fattispecie autonoma di reato (art. 604-bis) e l’aggravante di cui all’art. 604-ter.

Ad abundantiam una forma di tutela civilistica contro gli atti di discriminazione compiuti nei confronti delle persone con disabilità da parte di soggetti privati ed istituzioni, era già stata introdotta con la legge n. 67 del 2006 che tutela i principi di parità di trattamento e pari opportunità al fine di garantire alle persone con disabilità il pieno godimento dei loro diritti civili, economici e sociali.

Pur trattandosi di una legge di natura civilistica la stessa offre una tutela nei casi di discriminazione diretta ed indiretta fino a considerare discriminatorie, le molestie e tutti quei comportamenti indesiderati che violano la libertà e la dignità della persona disabile e creano un clima di intimidazione ostile e degradante, vale a dire il cosiddetto mobbing.

Anche nell’ambito della legge 67 del 2006, ci troviamo di fronte ad uno di quei rari casi in cui una normativa speciale nata per tutelare determinate situazioni soggettive relative ad una categoria d’individui, in questo caso gli immigrati, è stata estesa a situazioni soggettive discriminatorie fondate sull’aspetto fisico (disabilità).

 In base a questa legge, la persona con disabilità che ritiene di aver subito una condotta discriminatoria può depositare un ricorso per richiedere la cessazione del comportamento discriminatorio ed il risarcimento del danno subito.

L’ordinamento giuridico offre già strumenti che consentono di avere una tutela penale della persona con disabilità.

L’introduzione di una fattispecie autonoma di reato e di un aggravante specifica ulteriore per i reati d’odio in ogni caso costituisce un quid, una tutela solo rafforzata, non una tutela introdotta nell’ordinamento ex-novo.

Una tutela la cui reale efficacia dovrà essere valutata nel tempo.

Un aspetto degno di nota, è l’aver espunto dalla legge, tra le definizioni delle condizioni personali, la disabilità, che rimane saldamente ancorata alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

In definitiva, sarebbe stato meglio introdurre una legge organica, com’è avvenuto per la legge n. 19 del luglio 2019 (c.d. Codice Rosso) che tutela le donne oggetto di condotte violente, piuttosto che intervenire con una singola fattispecie ed un aggravante specifica.

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