CONSIGLIO COMUNALE STRAORDINARIO DI ZOLA PREDOSA IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE SULLA DISABILITA’


Buona sera a tutti,
Sono Marco Campanini, consigliere comunale con disabilità, con una laurea in giurisprudenza e una in criminologia, affetto da una rara forma di fragilità ossea, la Sindrome di Mc Cune Albright, la malattia mi è stata diagnosticata all’età di 5 anni, ma nonostante le difficoltà incontrate, per molto tempo, non ho mai alla pensato alla mia condizione, come a quella di una persona con disabilità. Anzi per molto tempo ho rifiutato questo concetto, illudendomi che fosse una realtà anni luce distante dalla mia persona.
Complice, un ottima assistenza sanitaria, tutto sommato nella sfortuna ho sempre pensato di essere stato molto “fortunato“, sono nato a 25 Km dal Rizzoli (da sempre eccellenza dell’ortopedia mondiale), per cui appena succedeva qualcosa (un evento traumatico come una frattura) avevo un riferimento, una stella a cui affidarmi dove potermi fare curare, ed era fondamentale. Per questo non ho mai fatto viaggi della speranza, come vedevo invece che facevano e fanno molte persone del Sud.
Nonostante gli interventi chirurgici, ogni volta che mi rialzavo, pensavo semplicemente che sarei tornato come prima, e per molto tempo è stato così. Dopo ogni caduta, iniziava la risalita, con la ripresa della normalità, merito anche della mia famiglia, che ha voluto che la mia vita fosse il più possibile uguale a quella degli altri.
Così, ho potuto prendere il diploma.
A 18 anni, avevo già la mia macchina, andavo a scuola da solo. Camminavo con le stampelle, ma comunque camminavo ed ero indipendente. Potevo decidere di andare dove volevo, quando volevo. Così sono riuscito a laurearmi.
Poi la mia vita è cambiata, quando la mia malattia, ha portato complicazioni anche ai vari organi, si è ridotta la mia autonomia e con essa di colpo sono sfumate le mie aspettative sul futuro.
Da oltre 10 anni, non sono più libero di decidere e scegliere come vivere la mia vita, per ogni spostamento ho bisogno dell’accompagnatore. Stasera non sarei qui se la mia famiglia non mi avesse accompagnato.
Non ho più la patente: mi domando che senso avrebbe rinnovare la patente, se poi non ho un accompagnatore che mi consenta di scendere dall’auto e andare dove voglio.
Con le rinunce, ho iniziato a domandarmi, ma è davvero giusto che la mia condizione sia totalmente in carico ai miei famigliari? Una persona con disabilità, non ha lo stesso diritto di vivere una vita piena, che vada la pena di essere vissuta? Non ha diritto di viaggiare, di vedere l’Italia, di andare oltre la quotidianità del proprio Comune di periferia?
Se volessi andare a lavorare come potrei fare? Mi piacerebbe trovare un lavoro, ma chi mi accompagnerebbe? La mia disabilità è tale, che mi rende impossibile prendere autonomamente un mezzo di trasporto pubblico; nella provincia di Bologna, in periferia, c’è da dire poi, che non tutti sono interamente accessibili; e dunque, come fare?
Aggiungo inoltre che il trasporto sociale per persone non autosufficienti affidato ad associazioni di volontariato, attivo in molti Comuni, molto spesso non prevede l’accompagnamento per motivazioni che esulano dalla necessità di fare visite mediche, o di assolvimento dell’obbligo scolastico.
Ritornando alla mia vita, vedo i miei famigliari che fanno enormi sacrifici. Con il mio peggioramento, mia madre caregiver, ha dovuto perdere il lavoro, e con esso la prospettiva di percepire una pensione. Se non ci
fosse mia madre, che mi consente, di alzarmi da letto ogni mattina, mi domando cosa farei. Oramai i miei sono anziani, quale futuro, ma soprattutto quale presente?
La presenza di un assistente famigliare diventa una necessità se si vuole avere una vita indipendente, è stato detto “che la vita indipendente non è un vezzo, non è un’opportunità, non è un vivere meglio. La vita indipendente è semplicemente vivere, significa avere le stesse possibilità che hanno tutti. Né più né meno”.
Quando si parla di disabilità, quello che viene in mente, d’istinto, è l’assistenza sanitaria. Una persona con disabilità, ha bisogno di assistenza, ma quale assistenza? In molte regioni, si pensa unicamente a fornire alla persona con disabilità l’assistenza sanitaria e il diritto all’inclusione scolastica.
Poi le statistiche ci dicono, che le persone con disabilità, in Italia, al termine dell’esperienza scolastica, spariscono dalla società, non trovano un impiego ed i pochi che lo trovano sono costretti ad usare buona parte dello stipendio per assicurarsi un assistente personale. Allora le istituzioni, si devono domandare, quale sia la forma migliore di assistenza da fornire a queste persone. Sfido chiunque a dire, è meglio la struttura che la casa dove uno ha sempre vissuto.
A questo proposito, l’unica forma di assistenza da proferire sulle altre è quella dell’assistenza domiciliare indiretta (o autogestita), condizione necessaria per poter realizzare una vita davvero indipendente. Essa consiste nel fornire un assistente scelto in totale autonomia dalla persona con disabilità o dai familiari, con cui organizzare la propria vita.
Ci tengo a specificare una cosa, il diritto ad avere un assistente personale non è un elemosina, ma è una materia che attiene alla sfera del settore pubblico. E’ dovere dello stato garantire e promuovere l’inclusione delle persone nella società, rimuovendo gli ostacoli di ordine sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, così l’art. 3 della Costituzione.
Come consigliere comunale con disabilità, sento che è un mio dovere, ma anche una mia responsabilità, provare di cambiare le cose, provare di lenire le sofferenze e ridare dignità a cittadini che non hanno commesso alcun crimine, per vivere segregati. Ogni persona con disabilità ha diritto a vivere una vita dignitosa.
Ma non è una responsabilità che appartiene solo a chi rappresenta le istituzioni, appartiene a tutti noi, persone con disabilità in primis, responsabilità che è nostro dovere assumere.
Vorrei concludere con un pensiero, in questi giorni ho visto un video, di una nota testata giornalistica, che girava in occasione della giornata internazionale sulla disabilità dal titolo “Non sono come noi, sono speciali
La disabilità è una condizione che non deriva dalla persona, ma dalla società, dalle barriere fisiche e culturali. Non sono le persone con disabilità ad essere speciali, è la società in cui viviamo ad essere speciale; non siamo noi ad avere degli handicap, ma è la società a non essere inclusiva.

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