Pensioni di invalidità e limiti reddituali


Pensioni di invalidità e limiti reddituali

Pensioni di invalidità e limiti reddituali

La sentenza della Corte Costituzionale che ha determinato l’aumento delle pensioni d’invalidità è la n. 152 del 23 giugno 2020, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 30 del 22 luglio 2020.

È notizia di queste ore che il governo nel Decreto Agosto abbia stanziato un miliardo e mezzo di euro per disporre l’aumento delle pensioni d’invalidità fino all’importo di 648 euro.

Dare seguito alla sentenza della Corte Costituzionale era in ogni caso inevitabile, altrimenti il governo si sarebbe ritrovato a soccombere in migliaia di cause promosse da associazioni ed aventi diritto.

Nonostante il riconoscimento della manifesta inadeguatezza dell’emolumento ad assicurare il sostentamento della persona impossibilitata a procacciarsi, la Corte Costituzionale individua dei limiti reddituali per il riconoscimento della maggiorazione.

Nello specifico, la Corte, ha disposto che per l’ottenimento del beneficio di 651,51 euro per l’anno 2020 i limiti reddituali sono 8.469,63 euro per il pensionato che vive da solo, e 14.447,42 euro per il pensionato coniugato.

A questo punto, sono doverose considerazioni sui limiti reddituali.

Davvero persone con gravi disabilità, in parecchi casi, con malattie croniche degenerative, comorbilità, menomazioni plurime, non possono contare su un emolumento a vita come qualsiasi altra pensione contributiva?

Persone con gravi forme di disabilità, sono in molti casi, soggetti con patologie tali da essere dichiarati non rivedibili, le cui difficoltà di procacciamento dei mezzi di sostentamento vi rimarranno verosimilmente tutta la vita.

Ausili per persone con disabilità 

Quale senso ha porre limiti reddituali alle pensioni di invalidità?

Fortunatamente non sono ancora stati posti vincoli sulle modalità di come dovrà eventualmente essere speso l’emolumento.

Non è fantascienza, d’altronde vincoli di questo tipo sono stati inseriti nel Reddito di Cittadinanza, e nel Reddito di Inclusione.

Se guardiamo ad esempio alla Carta REI, la stessa può essere usata solo per:

  • prelevare contante entro un limite mensile di 240 euro, al costo del servizio;
  • fare acquisti tramite POS in tutti i supermercati, negozi alimentari, farmacie e parafarmacie abilitati;
  • pagare le bollette elettriche e del gas presso gli uffici postali;
  • avere uno sconto del 5% sugli acquisti nei negozi e nelle farmacie convenzionate, con l’eccezione degli acquisti di farmaci e del pagamento di ticket.



Tralasciando tali esempi, dobbiamo domandarci se hanno ancora senso limitazioni reddituali per il godimento di sovvenzioni disposte per superare limitazioni derivanti da handicap e menomazioni di carattere fisico.

A questo proposito, come ben sappiamo il limite di reddito personale annuo previsto per il mantenimento della pensione d’invalidità attuale di 286,81 euro per gli invalidi civili totali per il 2020 è di 16.982,49 euro. Limite che si riduce ulteriormente per gli invalidi civili parziali con una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 74 e il 99% che devono percepire un reddito annuo non superiore a 4.906,72 euro.

Questo significa che nel momento in cui una persona con disabilità trova un’occupazione, non solo non ha diritto all’aumento se il suo livello di reddito supera gli 8.469,63 euro, ma addirittura perde completamente l’invalidità se il suo stipendio supera i 16.982,49 euro annui.

I più accorti diranno, che trattandosi di pensioni, l’emolumento si giustifica unicamente per coloro che non hanno reddito e non lavorano.

In realtà la situazione è più complicata, nel momento in cui una persona con disabilità grave, per la quale residuano capacità lavorative, ha un’occupazione, gran parte del guadagno finisce, per garantire l’assistenza personale per consentire la propria autonomia: essendo insufficiente per tale finalità l’importo stabilito con l’accompagnamento, la persona dovrà intaccare, buona parte del proprio reddito per sopperire anche alle mancanze dell’invalidità.

Se guardiamo inoltre, c’è una discrasia tra le pensioni contributive ed i limiti a cui sono sottoposte le pensioni d’invalidità.

Questo ce lo spiega l’Inps, quando parla di cumulabilità della pensione con i redditi da lavoro.

Infatti l’Istituto di previdenza ci spiega che i limiti del cumulo della pensione con il reddito da lavoro permangono espressamente solo per l’assegno ordinario d’invalidità, la pensione di inabilità e la pensione d’invalidità.

Per i titolari di assegno di invalidità che continuano a lavorare sono previste una trattenuta per incumulabilità con i redditi da lavoro introdotta dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 e una trattenuta per incumulabilità con i redditi da lavoro, se la pensione è liquidata con meno di 40 anni di contributi e se l'importo dell'assegno ridotto per applicazione della legge 335/1995 resta comunque superiore al trattamento minimo.
La pensione di inabilità è incompatibile con qualsiasi attività lavorativa sia indipendente sia autonoma svolta in Italia o all'estero.
Infine, la pensione di invalidità viene sospesa se il pensionato possiede un reddito da lavoro dipendente, autonomo, professionale o di impresa superiore a tre volte l'ammontare del trattamento minimo del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti.

La cumulabilità dell’assegno ordinario di invalidità e della pensione di invalidità con i redditi da lavoro viene ripristinata quando tali sovvenzioni si trasformano in pensione di vecchia al raggiungimento dei limiti d’età previsti per tale forma di pensionamento.

Come mai nessun politico, nemmeno le associazioni di categoria, fino ad ora hanno mai richiesto la cumulabilità dei trattamenti assistenziali per gli invalidi con i redditi da lavoro?

L’incumulabilità dei trattamenti riguardanti i disabili con i redditi da lavoro è ancora più incomprensibile se si considera che vi sono categorie di redditi, per le quali la cumulabilità è inspiegabilmente ammessa.

Sono tali:

  • i redditi prodotti da indennità connesse a cariche pubbliche elettive;
  • le indennità percepite dagli amministratori locali;
  • le indennità percepite nell’esercizio della funzione di giudice di pace, di giudice onorario aggregato e di giudice tributario.

Ammettendo la cumulabilità del reddito da lavoro con gli emolumenti previsti per le persone con disabilità si stimolerebbero le persone con gravi disabilità ad entrare nel mondo del lavoro, e non a rimanere inoccupati per non perdere quel poco che hanno.

In definitiva, viviamo in un sistema che non vuole le persone con disabilità occupate, capaci d’incidere e contribuire al benessere materiale della collettività.

Al contrario, abbiamo creato una società assistenzialista, dove le persone che potrebbero offrire un qualche contributo alla società rimangono confinate ai margini, e dove a tutti i normodotati che non hanno problemi, gli viene concessa la possibilità di impegnarsi politicamente per cumulare pensioni, indennità e gettoni.

Una persona con disabilità ha diritto ad avere tutta l’assistenza che merita, in ogni caso: sia che non abbia la possibilità fisica di lavorare, sia che decida di farlo nonostante le difficoltà. Il lavoro non può essere inteso come una penalizzazione per le persone disabili.

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